All’indomani della fine della seconda guerra mondiale un gruppo di artisti comincia una selezione di cantanti e danzatori per formare il Mazowsz, compagnia che porterà in giro per la Polonia musica e balli della tradizione. Tra Wiktor, che è il direttore d’orchestra e Zula, una giovane talentuosa cantante, sboccia una travolgente passione. Progettano la fuga a Parigi per sfuggire le difficoltà crescenti che il regime impone a tutta la nazione, ma all’ultimo momento Zula rinuncia. Wiktor tenta di rifarsi una vita in Francia, ma la passione per Zula scoppierà travolgente non appena si rincontreranno per una tournee del gruppo polacco. Sarà un perdersi e ritrovarsi dall’esito drammatico.
Pawel Pawlikowski sceglie il bianco e nero per raccontare diverse storie parallele che convergono nella storia d’amore tra due protagonisti. Parallelamente esplora il rapporto con la patria, reso difficile dalle contingenze politiche e gira un film musicale, ricco di musiche e balli della tradizione polacca, ma anche di di esibizioni jazz travolgenti, descritto con grande efficacia dalla precisa regia. E questo è per me l’aspetto più interessante del film, dove la splendida fotografia trova un altrettanto splendido corrispettivo narrativo. La musica accompagna la malinconia del racconto di un tempo che passa e che porta via, con i suoi cambiamenti, gli affetti più importanti degli uomini, che a loro volta non riescono a cambiare con altrettanta efficacia e velocità. Tra i due protagonisti il rapporto passionale degli iniziali non si evolve in qualcosa di più profondo col passare degli anni, e l’approccio primitivo con i loro sentimenti darà vita all’unica soluzione possibile per loro, quella di cristallizzare la loro storia con un gesto estremo
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