Misako fa un lavoro particolare. Scrive e legge le descrizioni delle scene dei film per il pubblico non vedente. È un lavoro complesso, deve essere in grado di farlo con la sensibilità del non vedente, che è piuttosto diversa dalla sua, e per far questo lavora in equipe proprio con un gruppo di non vedenti. Tra questi c’è un celebre fotografo che sta via via perdendo la vista: tra i due si stabilisce un legame.
Naomi Kawase da vita ad un lavoro complesso, dove sono diversi gli elementi in ballo: la disabilità e la difficoltà del confronto, in un dialogo che sembra impossibile; l’accettazione della stessa e sullo sfondo, ma non troppo, il cinema. La forza delle immagini, potenti quando mostrate e quando evocate; potenti anche quando queste sono vissute attraverso lo sguardo, che non vede, dello spettatore, secondo un’operazione che ci riporta a Kiarostami. La luce è dunque al centro del discorso, la luce che viene immaginata in termini diversi da ognuno di noi, la luce che sta per scomparire dagli occhi del protagonista e che riesce a ritrovare grazie all’incontro con Misako. Poesia e delicatezza per un film che racconta sentimenti con estrema cura e riservatezza.
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