Fern ha perso il lavoro a causa della crisi finanziaria che ha fatto chiudere i battenti alla fabbrica dove aveva lavorato una vita. Ha perso anche il suo affetto, Bo, il marito scomparso in seguito ad una malattia. Attrezza il suo furgoncino a casa mobile e si mette in viaggio per gli States alla ricerca di qualcosa che ancora non capisce ma ben decisa a non rientrare più nel ricatto del capitalismo, per un viaggio senza fine dove troverà una inaspettata comunità di umani che hanno fatto la sua stessa scelta.
Chloé Zhao in un road movie focalizzato sui nomadi che attraversano l’America. Col suo stile quasi documentaristico, Zhao conduce un’indagine a più livelli: da una parte c’è la presa di posizione decisa contro il sistema economico che tiene vincolate a se le persone, necessarie al suo funzionamento, dandogli si la possibilità di vivere con le tradizionali comodità ma negando loro la possibilità di vivere una vita piena. Su quest’aspetto si fonda poi il livello più profondo del film, che parla di individui che sono alla ricerca di qualcosa che significhi vita. Tutti hanno perso delle garanzie economiche, ma hanno perso soprattutto un riferimento importante nella loro vita: un affetto, una persona, la salute. Scegliere la strada diventa una risposta a quel profondo dolore che è la mancanza, all’impossibilità di pensare ad un futuro in continuità col presente, e magari col passato; significa dare importanza al momento, dare valore a quello che si ha intorno, a godere della connessione intima con la natura. Per tanti è una ricerca che non ha mai fine perché è necessaria a tenere in piedi la propria vita, la propria storia, senza dimenticare o rinnegare quello che si è fatto; per altri arriva invece il momento di chiudere questa parentesi, vuoi perché si presentano nuove possibilità di proiettare se stessi nel futuro, vuoi perché la fine della vita è un momento che nessuno può evitare.
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