Nella periferia di Napoli, Giovanna ha creato un centro di accoglienza per bambini svantaggiati, accoglie famiglie che sono in difficoltà e ai margini del tessuto sociale. La solidità della comunità, tuttavia, viene sconvolta quando una donna, Maria, con i suoi due bambini arriva a chiedere asilo; e con le porterà di nascosto il marito camorrista, che si nasconde dopo un omicidio.
Leonardo Di Costanzo solleva un dilemma etico e morale. Fin dove è giusto spingersi nel perseguire un intento di solidarietà quando questo mette in pericolo una comunità che ha delle sue regole non scritte e che grazie a queste ha trovato il suo equilibrio?
Il punto è che tutti sono “svantaggiati”, i bambini, le famiglie, e la stessa famiglia appartenente ai clan. Li, sono tutti “ultimi” ma anche tra ultimi qualcuno sembra poter avere più diritti degli altri. È qua, il nodo della questione posta da Di Costanzo. Lo stile documentaristico, con attori scelti tra gente comune, è molto efficace per restituire l’humus che è di queste realtà: le atmosfere sono rarefatte, i fatti si susseguono piuttosto lentamente e spesso i silenzi riempiono la scena: un invito a riflettere che non può essere disatteso.
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L’intrusa di Leonardo Di Costanzo
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